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Giurisprudenza

Cass., sez. II, 04-05-2005, n. 9230.

Il giudice d’appello, in tema di liquidazione dei danni per debiti di valore, deve rivalutare la somma liquidata in primo grado, con applicazione cumulativa degli interessi sino alla data della pronuncia, in modo da reintegrare completamente il patrimonio del danneggiato per tutte le perdite subite in conseguenza dell’evento dannoso, ma, nel compiere tale operazione, non può prescindere dagli eventuali pagamenti che siano stati già fatti al creditore e dalle modalità e dai criteri, anche di carattere temporale, con cui si è proceduto alla liquidazione, con la conseguenza che, nell’operare una ulteriore rivalutazione e nell’attribuire ulteriori interessi, deve tener conto necessariamente dei detti pagamenti, debitamente motivando in ordine ai criteri seguiti per stabilire periodo di riferimento dell’ulteriore rivalutazione nonché decorrenza e modalità di calcolo degli ulteriori interessi (sulla base di tali principi la suprema corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che non vi si era conformata).

Cass., sez. III, 26-06-1997, n. 5707.

La disposizione dell’art. 1194 c.c. secondo la quale il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi o alle spese senza il consenso del creditore, presuppone che tanto il credito per il capitale quanto quello, accessorio, per gli interessi e le spese, siano simultaneamente liquidi ed esigibili; pertanto, in tema di risarcimento del danno, i versamenti di somme effettuati in favore del creditore prima della liquidazione (giudiziale o negoziale) non sono imputabili agli interessi ma al capitale.

Cass., sez. III, 14-03-1996, n. 2115.

Poiché l’art. 1194 c.c. (il quale prescrive di imputare i pagamenti parziali prima agli interessi e quindi al capitale) è stato dettato con riferimento alle obbligazioni pecuniarie, esso non trova applicazione in materia di risarcimento del danno derivante da atto illecito.

Cass., sez. lav., 01-07-1994, n. 6228.

In tema di risarcimento del danno i versamenti effettuati a favore del danneggiato nel corso del processo di liquidazione non sono imputabili agli interessi non essendo applicabile il criterio previsto dall’art. 1194 c.c., che presuppone l’esistenza di un debito pecuniario liquido ed esigibile: conseguentemente, i suddetti versamenti devono essere imputati al capitale mentre gli interessi legali devono essere calcolati sull’intero importo liquidato, con decorrenza dalla data dell’evento dannoso fino a quella di corresponsione degli acconti.

Cass., 10-03-1990, n. 1982.

In tema di risarcimento del danno, i versamenti di somme effettuati in favore del danneggiato nel corso del processo di liquidazione non sono imputabili agli interessi non essendo applicabile il criterio previsto dall’art. 1194 c.c., che presuppone l’esistenza di un debito pecuniario, inesistente fino alla liquidazione del danno, con la conseguenza che i detti versamenti devono imputarsi al capitale e, riducendo l’ammontare del danno, vanno parallelamente rivalutati perché elidono il fenomeno della svalutazione rispetto ad una parte del danno medesimo, mentre gli interessi devono essere calcolati sull’intero importo liquidato con decorrenza dalla data dell’evento dannoso fino alla data di corresponsione dei singoli acconti.

Cass., 08-03-1988, n. 2352.

In tema di imputazione di pagamento, la disposizione prevista dall’art. 1194 c.c. - secondo cui il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi ed alle spese senza il consenso del creditore - presuppone la simultanea esistenza della liquidità e della esigibilità sia del credito per capitale che del credito accessorio (per interessi o per spese), sicché fino a quando sia incerto od illiquido il credito accessorio il debitore non è soggetto al divieto di imputare il pagamento al capitale.

Cass., sez. III, 01-12-2000, n. 15368.

In tema di debiti di valore, l’entrata in vigore dell’art. 1 l. n. 353 del 1990, il quale, modificando l’art. 1284 c.c., ha innalzato al dieci per cento il saggio legale di interesse, non ha inciso sul piano della distinzione da trarre fra la rivalutazione intesa come strumento rivolto ad assicurare il risarcimento del danno emergente ripristinando la situazione patrimoniale del danneggiato quale era anteriormente al fatto generatore del danno medesimo, e gli interessi intesi come strumento per compensare il creditore del lucro cessante in dipendenza del ritardo nel conseguimento materiale della somma dovuta a titolo di risarcimento; quanto peraltro all’entità degli interessi e alla loro decorrenza, essi vanno corrisposti sulla somma determinata con riferimento al tempo dell’illecito, progressivamente adeguata, anno per anno, all’aumento del costo della vita con l’applicazione di indici medi di rivalutazione e ad un tasso che può perciò anche essere inferiore, eventualmente, a quello legale.

Cass., sez. III, 01-12-1999, n. 13358.

Qualora, nelle more tra primo e secondo grado del giudizio risarcitorio per illecito aquiliano, il debitore adempia parzialmente la propria obbligazione, il giudice d’appello, anche ove riformi la decisione di primo grado, deve tenere debito conto dei versamenti effettuati medio tempore; a tal fine, deve ritenersi corretto l’operato del giudice di secondo grado che proceda come segue: a) rivaluti il credito risarcitorio alla data della sentenza di primo grado; b) rivaluti i pagamenti parziali alla data in cui sono stati effettivamente percepiti, sottraendoli quindi dal credito complessivo; c) computi il danno da lucro cessante, secondo i criteri stabiliti da Cass. sez. un. 17 febbraio 1995 n. 1712, utilizzando quale base di calcolo l’intero credito risarcitorio, per il periodo compreso tra la data della sentenza di primo grado, ed il pagamento dell’acconto; e la somma residua dopo il pagamento dell’acconto, per il periodo compreso tra il pagamento stesso e la sentenza di secondo grado.

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